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| Primi Passi Matt
La semplicità è la gloria dell'espressione. (Walt Whitman)
«Odio la pioggia» commentò Carl, guardando fuori dalla finestra con espressione vacua. «Muovi il culo al posto di guardare il paesaggio!» Emily diede un ultima spolverata al tavolo, prima di andare a dare da mangiare al bambino che urlava seduto sul divano. «Possibile che lo devo pulire sempre io, Carl? Ho sposato un uomo o un maiale?»Scoppiai a ridere e mi godetti la scena del mio migliore amico che prendeva in braccio il figlio e lo cullava, rosso in faccia. «Se non la smetti tra cinque secondi, giuro che ti spacco il culo Matt» mi incenerì con lo sguardo, borbottando quelle parole in modo da non farsi sentire da Emily. «Quante volte ti ho detto di non usare quel linguaggio di fronte al bambino?» lei spuntò fuori dalla cucina, dove era andata a prendere il biberon, «e non fare quella faccia, lo sai che ti sento anche dal terrazzo». «La donna dalle mille orecchie» commentai con un sorriso «la chiamavamo così a scuola, ti ricordi Carl?» «La chiamavamo anche in altri modi, se è per questo» sul suo viso comparve un sorriso ebete, che sparì nell’esatto istante in cui Emily lo incenerì con lo sguardo. «Mi chiedo ancora come ho fatto a sposarti!» commentò prendendo a pulire per terra. Guardai quella simpatica scenetta familiare con un sorriso sulle labbra. Carl ed Emily si erano sposati da poco, più o meno un mese, e nonostante le apparenze il loro rapporto era molto forte. La maggior parte delle persone aveva preso la notizia del loro matrimonio con diffidenza, credendo che si fossero sposati solo a causa di un bambino. In parte era così, ma io sapevo che Carl aveva avuto già da tempo l’idea di chiederle la mano. Loro nel contempo se ne fregavano dei pensieri della gente ma ogni volta dovevano lottare con genitori in aperto conflitto tra di loro e, in particolare, diffidenti del matrimonio. «Vai alla Boston Ballet oggi?» Carl si sedette sul divano, parlandomi mentre costringeva il figlio a bere. Annuii e guardai l’ora. Erano le tre meno un quarto ed ero in maledetto ritardo. Mi alzai in fretta e finii di bere il caffè in un soffio. «Grazie per avermelo ricordato, i cessi hanno bisogno di me!» sorrisi e mi infilai il giubbotto, facendo finta di non aver visto la smorfia appena apparsa sulle labbra di Carl. «Vedo che non hai…» tentò di dire ma lo fermai in tempo, alzando gli occhi al cielo. «…ancora cambiato idea» continuai io per lui e mi chinai a baciare Emily sulla guancia, riempendomi le narici del suo profumo. «Ciao Matt» lei mi sorrise «sappi che la penso come Carl!» «Una cosa su cui siamo d’accordo amore!» esclamò lui fingendosi sorpreso e mi seguì nell’ingresso «Non montarti troppo la testa Carl, tra poco ricomincia la solita routine» la sentii urlare da qualche parte indistinta della casa, prima di salutare con un cenno del capo Carl che aveva sbuffato pesantemente. Uscii di casa e feci di corsa le scale. Grazie al cielo avevo parcheggiato lì vicino e non c’era neanche tanto traffico così, appena arrivai davanti all’enorme edificio, erano le tre in punto. «In ritardo come al solito?» commentò Robert, un mio collega che stava entrando proprio in quel momento. «Non sono un orologio svizzero» risposi un po’ troppo freddamente e lo superai, andando negli spogliatoi a cambiarmi. Quando uscii lo trovai a provarci con la donna alla reception. Feci una smorfia e mi diressi a pulire i bagni. Ancora non sapevo il perché avessi accettato un lavoro così poco “stimolante” e, in particolare, le conseguenze che aveva portato con sé. Oltre al fatto che i miei genitori non mi rivolgevano più la parola, dovevo sopportare i continui tartassamenti di Carl che in quegli ultimi tempi utilizzava solo termini come “sfruttare” o “sottopagare”. In effetti quello era il peggior lavoro che avessi mai fatto e non solo perché dovevo pulire la merda nei bagni, ma perché ogni volta dovevo subirmi l’arrivo di principini viziati che si credevano dei della danza. Quello era il terzo giorno dei provini e, finalmente, quel via vai di gente si sarebbe concluso. Andai in palestra e notai già il ricco numero di persone in coda, in attesa del loro turno. Questa volta i provini si sarebbero svolti nel teatro e gli allievi si sarebbero misurati in tutte le categorie. Ero curioso di assistervi ma prima dovevo finire di pulire i bagni e le palestre. Impiegai più di due ore e se Robert, che aveva passato tutto il tempo chiuso in un stanzina con l’addetta alla reception, non mi avesse dato il cambio avrei dovuto continuare per altre due ore. «Scusa» mi sorrise colpevole «ho avuto un contrattempo». Gli porsi la scopa con una smorfia «immagino il tipo» commentai a bassa voce prima di allontanarmi. Mancavano ancora metà dei provini quando arrivai. Alcuni si voltarono a guardarmi quando entrai nella stanza ma non ci feci caso e mi appoggiai al muro, osservando una ragazza sul palco che si stava esibendo in classico. Storsi il naso seguendo attentamente il movimento delle sue braccia ma, dopo una decina di secondi, quel movimento sempre uguale iniziò a darmi sui nervi. Mi sedetti agli ultimi posti, accanto a un paio di ragazze che stavano seguendo i provini in attesa del loro posto. Non fecero obbiezioni vedendo un addetto delle pulizie in quel luogo, forse troppo prese dai provini. Molti ragazzi erano davvero bravi, lo dovetti ammettere. In classico si erano presentati in molti ma la categoria più gettonata, come al solito, era jazz. Soprattutto i ballerini maschi si erano presentati in quest’ultima e due o tre erano davvero dei fenomeni. «Brian Lancaster» chiamò una voce dal palco. Si diffuse un mormorio nella stanza. Alcuni si alzarono persino in piedi e sentii sussurrare molti di loro. «Brian Lancaster?» la ragazza alla mia destra si sporse verso le altre «quel Brian Lancaster?» urlò quasi. Aggrottai la fronte non capendo il perché di tutto quell’interesse ma, guardandomi in giro, mi accorsi di non essere il solo. «Si, è lui» drizzai le orecchie quando una ragazza biondina, dagli occhi spiritati, esclamò eccitata «l’ho visto al secondo provino E’ bello proprio come nelle riviste!» Un ragazzo salì sul palco e aguzzai la vista. Era alto ma da lontano non riuscivo a vederlo bene. Notai che aveva capelli neri e un fisico ben piazzato. Sentii alcuni urletti di ragazzine e feci una smorfia. “Manco fosse Brad Pitt” pensai e lo guardai mentre si posizionava al centro del palco. Era un ballerino classico e già questo fatto andava a suo sfavore, aggiunto naturalmente alla sua inspiegabile popolarità tra la fauna femminile. Era bravo ma, come tutti i ballerini classici, non mi trasmetteva nulla e quando si esibì anche in altri due pezzi, moderno e jazz, lo trovai ripetitivo. Scese dal palco, dopo aver ricevuto il solito “le faremo sapere domani”, e camminò velocemente verso l’uscita. Nel farlo molte ragazze si voltarono e guardarlo ma lui sembrò quasi non farci caso. Quando mi passò vicino per uscire dalla porta notai occhi azzurri, simili a lamine di ghiaccio, ma il momento durò poco e spalancò la porta con poca grazia. «Dio, ho bisogno di una flebo!» urlò la ragazza al mio fianco «non sapevo che ballasse! Ero convinta che sarebbe diventato un ricco imprenditore come il padre!» «Neanche io» rispose l’altra «se vengo presa con lui giuro che bacio il tuo cane» fu scossa da una risatina isterica ma si calmò quando venne chiamato un altro ragazzo. Si esibirono in ordine tre ballerini di moderno ma nessuno spiccò più di tanto. Invece un ballerino di nome Aaron Wither fui certo che sarebbe stato preso. Era anche lui di moderno ma aveva un stile particolare, forse unico. Quando uscì dalla stanza fu seguito da un gruppo di amici che gli diedero ampie pacche sulla schiena, congratulandosi con lui. «Isabel Satchel» chiamò la stessa voce e, dopo un paio di secondi, una ragazza avanzò verso il palco. «Hip hop, giusto?» domandò un professore, squadrando la ragazza mora da capo a piedi. Mi posizionai meglio, decisamente più interessato. Si erano esibiti solo due ragazzi di hip hop e nessuno si era rivelato un fenomeno. Guardai curioso la ragazza che si sistemava al lato del palco e mi ricordai di lei. L’avevo incontrata ai primi provini ed ero rimasta a guardarla mentre ballava, nonostante avrei dovuto lavorare. Era brava, decisamente brava, ma aveva un qualcosa che allo stesso tempo non mi convinceva e mi attraeva. I suoi movimenti erano “acerbi”, come se non avesse appreso appieno il possesso dell’hip hop ma era proprio questa caratteristica a rendere speciale quel movimento, perché era come se ce lo avesse nel sangue o lo sentisse particolarmente. «Da quanto balli hip hop?» domandò lo stesso professore, l’unico che faceva domande, e capii che si trattava proprio del professore di hip hop. Aveva parlato solo due volte, in presenza di ballerini di hip hop, mentre tutti gli altri professori non avevano mai fatto alcun tipo di domanda. «Tre anni, più o meno» rispose lei ancora con il fiatone. «Un po’ poco» lo sentii ridere «ho letto che sei anche una ballerina classica. Abbinamento stravagante» commentò, sfogliando i fogli che aveva sotto il naso. «Si, da quando avevo cinque anni» rispose lei meccanicamente. «Puoi farci vedere qualcosa?» il professore inclinò la testa e le sorrise. “Come se potesse rispondere di no” pensai con una smorfia ed incrociai le braccia per guardare l’unica ballerina di hip hop che mi aveva convito abbassarsi al livello di eseguire quella spazzatura. Era brava ma sembrava aver perso quella scintilla che le avevo visto prima. La tecnica c’era tutta ma sembrava bloccata, come se a lei stessa non stesse piacendo ciò che stava eseguendo. Quando infatti la musica venne fermata e fu chiamata a ballare un pezzo di jazz mi sembrò quasi sollevata. «Grazie mille, saprai i risultati domani» la ringraziò il professore di hip hop scrivendo qualcosa in un foglio e lei scese le scalette, raggiungendo un ragazzo biondo che era in attesa vicino alla porta. Mi passò vicino e posò un bacio sulla guancia del ragazzo che la strinse a sé. Mi ritrovai a guardare i suoi capelli castani, lunghi e mossi, senza una buona ragione. Lo sguardo mi cadde inevitabilmente sui pantaloni bianchi, che lasciavano intravedere slip sulla tonalità del rosa, e sulla maglietta venuta a sollevarsi rivelando un minuscolo tatuaggio all’altezza del fianco sinistro. Non riconobbi cosa c’era scritto, poiché uscì dalla stanza con quello che doveva essere il suo ragazzo. “Fortunato, ha un bel culo” pensai, prima di tornare a guardare i provini. Durarono un’altra ora e l’ultimo nome ad essere chiamato fu Gabriel Hide. Spalancai gli occhi incredulo e mi convinsi di aver sentito male. Ma quando un ragazzo alto, biondo e ben piazzato, salì sul palco ogni mia certezza crollò. «Ce ne avete messo di tempo» guardò la commissione con un sorriso deridente, sfilandosi la felpa per rivelare braccia muscolose, ricoperte completamente da tatuaggi. La professoressa di classico, una donna sulla quarantina e con una faccia da snob, si ritrasse disgustata, certamente scandalizzata dalla visione di tutti quei percing e tatuaggi. «Animiamo il palco, no?» il ragazzo rise ricevendo solo sguardi freddi o perplessi. Feci una smorfia. La sua risata era fastidiosa, quasi quanto lui. Mi ricordai di tutte quelle volte che l’avevo sentita, di tutte quelle volte che avevo provato ad imitarla, come anche quel suo modo di ballare.
C’era puzza di alcol, lo sentii ancora prima di metterci piede e, quando mi ritrovai dentro la stanza colma di gente, ritrassi il viso disgustato. «Sei sicuro Gabriel?» domandò Edward osservando preoccupato un gruppo di ragazzi che ridevano ubriachi in fondo alla stanza. «Si» gli occhi verdi di Gabriel si accesero di eccitazione e avanzò tra la gente «è qui, ho visto ieri il cartello ed il posto è giusto». Deglutii e lanciai una rapida occhiata a Edward e Taylor, rimasti vicino alla porta diffidenti. Leggevo timore nel loro sguardo, lo stesso che avrei visto nei miei occhi se solo avessi avuto uno specchio per farlo. Tuttavia mi affiancai a Gabriel che avanzava sicuro verso il bancone. «Che vuoi da bere?» domandò voltandosi verso di me. «Non lo so» mi strinsi nelle spalle, non avendo il coraggio di dirgli che non avevo mai bevuto. Sorrise inarcando un sopracciglio «faccio io, allora» con una risatina deridente chiamò il barista. Sospirai e cominciai a torturarmi le mani. Ero stato un coglione ad accettare la proposta di quel ragazzo che conoscevo a malapena, inoltre ero stato ancora più stupido a venire in un locale di una città che non conoscevo affatto. Quando Gabriel era venuto in camera nostra, a proporci di venire a fare un giro per la città, non avevo pensato alle conseguenze di quell’azione troppo preso dalla voglia di avventura. Non avevo tenuto conto il fatto che fossi in un caposcuola, a chilometri di distanza da New York. Non avevo considerato l’idea che Gabriel, noto per il suo spirito ribelle, mi avrebbe trascinato in un luogo dove tutti bevevano o si strusciavano con ragazze dai corpi lasciati in bella mostra. «E il concorso di hip hop?» mi voltai verso di lui, sperando che ci fosse un qualcosa di normale in quel locale. «Si tiene nell’altra stanza» rispose una voce sconosciuta, alle mie spalle. Un ragazzo biondo con occhi azzurri e fisico muscoloso ci scrutava perplesso. Posò lo sguardo dapprima su di me e poi su Gabriel con in mano dei bicchieri «quanti anni avete ragazzi?» «Diciotto» Gabriel gli sorrise e mi porse la bevanda. Abbassai gli occhi e feci del mio meglio per non guardare il ragazzo in faccia. Avrebbe di certo capito che era una bugia. Di anni ne avevamo quattordici. «Non vi posso chiedere i documenti perché non c’è un limite di età» aggrottò la fronte «spero solo che quella roba la sappiate reggere». Edward e Taylor ci raggiunsero «quando inizia il concorso? Voglio vederti ballare Gab!» esclamarono, felici di averci trovato. «Non lo so» Gabriel alzò con noncuranza le spalle e bevve un sorso, prima di voltarsi verso di me con fare beffardo «non bevi Matt?» Sobbalzai rendendomi conto della bevanda inerte nelle mie mani. Me la portai alle labbra meccanicamente e per poco non soffocai ma, grazie al cielo, nessuno se ne accorse anche se ebbi l’impressione di vedere una luce divertita negli occhi verdi di Gabriel. «Per il concorso è già iniziato» il ragazzo ci indicò una folla che guardava nella sala adiacente «si stanno già esibendo, dovrei andare anche io ora che ci penso. Sean mi starà cercando…» pensò tra se e se e si avviò lontano. Gabriel si alzò in piedi e lo seguì. Guardai in direzione degli altri miei due amici che annuirono e insieme seguimmo Gabriel. Musica a palla, corpi che si muovevano, urla e sudore. Guardai ipnotizzato un gruppo di ragazzi che si esibivano al centro, muovendosi con una velocità da far paura. Gabriel rise e avanzò fino ad arrivare davanti ad un bancone dove un ragazzo stava prendendo dei nomi. «Mi vorrei iscrivere» urlò per sovrastare la musica, con un tono di voce che non ammetteva repliche. «Ci si esibisce in gruppo, minimo due persone» rispose il ragazzo, guardandolo annoiato, «se non hai uno o più compagni sloggia». «Sui biglietti c’er…» provò a dire lui con rabbia. «Sloggia se non ti va bene» continuò l’altro imperterrito e lo congedò con un cenno del capo ma Gabriel non si arrese e posò i gomiti sul banco «ce l’ho un compagno. Scrivi Gabriel Hide e Matt Riven». Per poco non caddi, trasalendo. Aveva fatto il mio nome? Guardai Gabriel che si allontanava con fare soddisfatto e, quando fummo più vicini, lo feci girare con rabbia. «Ma sei scemo? Che cazzo ti è saltato in testa? Io non so ballare!!» urlai con voce stridula, tanto che anche Edward e Taylor indietreggiarono ma mostravano il mio stesso stupore. «Non preoccuparti» Gabriel mi diede una pacca sulla schiena, tranquillo e menefreghista come al solito «andrà benissimo. Bevi e vedrai come ti sentirai dopo» fece, non degnandomi di un’occhiata. Lo guardai incredulo ma non aggiunsi altro. Non avevo mai ballato in vita mia ed avrei fatto la figura del coglione di fronte a tutti. Portai il bicchiere alle labbra, non sapendo cosa altro fare. Forse se mi fossi ubriacato la mattina dopo non mi sarei ricordato della figura di merda. Nei film, per lo meno, accadeva così. Pian piano che andavo avanti la testa però iniziò a girare e a stanza si fece più sfocata. «Ora invitiamo sul palco quattro ragazzi di Miami» urlò un ragazzo, saltando sopra il palco e applaudendo con foga «Sean, Mark, Daniel e Justin! Direttamente da Miami qui a Los Angels!» Quattro ragazzi avanzarono e riconobbi al centro lo stesso biondino di prima, affiancato da tre ragazzi mori, della sua stessa stazza. Erano bravissimi, così maledettamente bravi che persino Gabriel dovette ammetterlo, nonostante avesse passato tutto il tempo a prendere per il culo i partecipanti. Quando finirono il palco fu riempito da urla e applausi e i quattro vennero circondati. «Gran bella esibizione! E ora tocca a due ragazzi: Gabriel Hide e Matt Riven!» Sputai un sorso di bevanda, prendendo in considerazione l’idea di fuggire. Ma le mani di Gabriel, strette sul mio polso, mi impedirono di andare via e fui costretto a seguirlo nel palco. «In bocca al lupo» il ragazzo biondo di prima ci fece un sorriso. Non riuscii neanche a muovere bocca e mi posizionai sopra il palco. La testa girava come la ruota delle giostre e quelle persone che ballavano sotto di me non aiutavano a migliorare la situazione. La musica partì e il mio cuore si fermò. Gabriel si muoveva al mio fianco. Aveva preso a ballare, senza curarsi minimamente di me. Sentii alcune risate e gli occhi di tutta la gente fissi sul mio corpo immobile. Guardai di nuovo verso Gabriel che continuò a non considerarmi. I suoi piedi si muovevano senza sosta e cercai di imitarli. Risate più forti, assordanti. La stanza girava. L’alcol era arrivato al cervello. Sudavo. La testa scoppiava. Presi a muovermi. Le risate crebbero di intensità, sempre di più. I volti erano tutti vissi sul mio corpo, sulle mie braccia che cercarono di imitare quelle di Gabriel ma non ci riuscirono e allora presero a muoversi da sole. Anche i piedi presero a muoversi da soli, in una danza dapprima imbarazzante e incerta. Ritmo, danza. Gabriel si era fermato e mi guardava, come tutti gli altri. Urla, musica, applausi. Le persone presero a muoversi come un unico corpo, come se stessero imitando qualcuno. Saltavano, incrociavano i piedi, ruotavano su loro stesse e alzavano le bracca. Le mie braccia, i miei piedi, il mio corpo. Scesi già dal palco e fui travolto da un’orda di persone. Si accalcarono per riuscire a toccare un lembo della mia pelle, un capello o qualsiasi altra cosa. Si muovevano intorno a me, ballavano come me. La stanza girava, la musica si fece più debole, i visi più sfocati. L’ultima cosa che riuscii a vedere fu il volto stupefatto di Gabriel e poi nient’altro, tranne che il buio. «Stai bene?» qualcosa di umido sfiorò la mia guancia. Aprii una palpebra e riconobbi solo due occhi verdi prima di richiuderli con forza. «Allora?» continuò la voce sconosciuta. «Cazzo Mark, se non ti risponde secondo te come sta?» una seconda voce si aggiunse alla prima e avvertii il tocco di una mano sulla mia spalla «era la prima volta che beveva?» «Si, penso di si» rispose una voce conosciuta, che presi come quella di Gabriel. Aprii li occhi e mi resi conto di essere in una stanza buia, con quattro persone in ginocchio e tre in piedi. Notai la figura di Gabriel, immobile davanti a me, mentre quelle di Edward e Taylor erano appoggiate al muro. Chinati su di me c’erano i quattro ragazzi del gruppo di hip hop e il più giovane, con occhi verdi e capelli neri, mi stava bagnando il viso. «Mark, ha aperto gli occhi!» urlò il biondo e strappò lo straccio dalla mano di Mark. «Come stai?» domandò un terzo, proprio alla mia testa. Mi voltai verso di lui, incontrando due occhi color nocciola tendenti al nero. Tentai di rispondere ma il quarto ragazzo sbuffò «e poi era mio cugino quello dalle domande stupide Daniel? Gli puoi chiedere “come stai?”» «Ora è sveglio, prima no » rispose Daniel, con una smorfia «è inutile che fai l’acido solo perché questo ragazzino ti ha battuto caro Sean». «Se ha battuto lui ha battuto pure noi tre» si aggiunse il biondo. Non capii di cosa stessero parlando e cercai di alzarmi. Fu piuttosto difficile ma le braccia muscolose di Mark e Sean mi sorressero. «Vuoi qualcosa da bere?» domandò Mark, premuroso. Tra tutti e quattro era il più magro, dall’aspetto docile. Al contrario Sean era un macigno ma i due avevano gli stessi lineamenti, come se fossero parenti. «E’ mio cugino» spiegò Mark notando il mio sguardo che andava da lui a Sean «io sono Mark, lui è Sean» mi sorrise e mi indicò gli altri due «il biondo è Justin e quello brutto è Daniel». Daniel lo incenerì con lo sguardo «vai a cagare» si voltò verso di me e aggrottò la fronte «quanti anni hai ragazzino?» «Quindici» deglutii e non guardai Gabriel che aveva storto il viso proprio in quel momento. «Ah, ecco» Justin rise «e vi spacciavate per diciottenni?» si voltò furente verso di Gabriel che scrollò le spalle. «Io l’alcol lo reggo benissimo» riabbatté e mi lanciò un’occhiata sprezzante. «Da quanto balli?» Daniel non parve neanche notare la presenza di Gabriel e continuò a rivolgersi a me. Arrossii e mi grattai il mento, mentre tutti e quattro mi guardavano affascinati, persino Sean che sembrava essere il più fredda tra tutti. La testa girava e sentivo la voglia di vomitare. «Da..da mai» balbettai, appoggiandomi alla spalla di Mark. Justin rise «senti ragazzino, ti lascio passare l’età falsa ma questa no!» si volò verso Mak per cercare appoggio e ricevette un cenno di assenso. Sean mi guardò poco convinto mentre Daniel si era avvicinato affascinato «non mi stai prendendo per il culo, vero?» Lo guardai dritto negli occhi. Erano scuri, profondi e seri. Una sensazione strana, a cui mai sarei riuscito a dare un nome, mi avvolse il corpo e scossi la testa. Daniel sorrise «dio, ci siamo lasciati battere da un quindicenne che non ha mai ballato!» Gli altri tre parvero ancora scossi, forse non credendomi, ma in quel momento poco importava. Guardai Gabriel, sperando in una sua parola o cenno, ma ricevetti solo uno sguardo accigliato. F lui il primo a distogliere lo sguardo e guardò l’ora «dobbiamo tornare in albergo» fece un cenno a Edward e Taylor che lo seguirono verso la porta. Mi mossi anche io, barcollando, ma la mano di Daniel me lo impedì. Lo guardai confuso e notai che non stava osservando me, ma aveva gli occhi fissi sulla schiena di Gabriel, guardandola quasi con odio. «Stai attento al tuo amico» sussurrò, stringendo i denti «mi raccomando». Aggrottai la fronte confuso. La sua mano scivolò via dal mio polso e le sue labbra si sollevarono in un sorriso caldo, come se stessimo parlando normalmente. «Mi ha fatto piacere conoscerti, Matt» mi strinse la mano con forza, gli occhi marroni fissi sui miei, «sento che ci rincontreremo». Gli sorrisi titubante e strinsi forte anche io, voltandomi per uscire via dalla stanza. Mentre mi giravo a salutarli per l’ultima volta, non potei minimamente immaginare quanto avesse ragione. Su tutto.
Quando finì di ballare scese con poca grazia dal palco e raggiunse un paio di amici che lo attendevano lì vicino. Si scambiarono pacche sulla schiena e risate entusiaste, avviandosi verso l’uscita. Abbassai lo sguardo e lo posai a terra, stringendo con così tanta forza la mano stretta a pugno che mi feci male. Mi passò vicino, così vicino che riuscii a sentire la puzza di fumo. Ma non sentii la puzza di marcio che risiedeva dentro il suo corpo…quella però la conoscevo troppo bene.
Capitolo scritto prima del previsto perché ero davvero ispirata. Penso che, essendo la storia di Matt modificata di molto rispetto all’originale, mi piacerà di più… Sean, Daniel, Justin e Mark vi ricordano qualcuno? Non potevo non mettere i fantastici quattro! Mark e Daniel poi hanno i nomi più vicini agli originali XD Gabriel anche è un po’ la rivisitazione di un personaggio di venvi original. Sarebbe Luca, l’amico di Adry, ma naturalmente il carattere e il rapporto che ha con Matt è diversissimo. Brian Lancaster? Non so se ricordate la fan fiction a quattro con Mari, Sabri e Pans... Avrebbe un po’ lo stesso carattere di Luca Napolitano XDEdited by ‚lady snow - 11/9/2010, 17:49
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